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Gorizia 2025

Lo spirito di Gorizia, esempio per l’Europa

Gorizia, città di frontiera per vocazione millenaria. Gorizia, da sempre laboratorio di convivenza tra popoli dove anche i meno colti parlavano indifferentemente tedesco, italiano, friulano, sloveno e altro ancora. Gorizia, dove anche oggi giri per le strade e respiri la sua unicità, nata da generazioni di concittadini sloveni, friulani, cechi, ungheresi, slovacchi, ebrei, veneti… Una lunga età dell’oro spezzata solo il secolo scorso dall’irrompere dei nazionalismi, il peccato originale che improvvisamente raccontò a quei popoli che non erano più fratelli ma “nemici”, e tramutò la frontiera che li aveva uniti in confine che li separava… Gorizia che da quel giorno fu intrisa del sangue della Prima guerra mondiale, che fu ferita dalla furia del fascismo e poi del comunismo titino, che nel 1947 fu sfregiata da un Muro – unica città europea insieme a Berlino – rimasto in piedi fino al 2004 (ma quanti italiani lo sanno?), seppe però sempre ritrovare la sua antica profezia di “cuore unitario d’Europa”.

E proprio “Gorizia cuore d’Europa – Da capitale della Cultura mitteleuropea a Capitale europea della Cultura” si intitola il 58° Incontro Culturale Mitteleuropeo che si svolge nel capoluogo isontino da oggi fino a sabato 25 novembre (“Avvenire” è media partner) richiamando alcune tra le voci più autorevoli (scrittori, poeti, storici, traduttori, musicisti) delle diverse culture, eredi di quella Mitteleuropa di cui Gorizia fu effettivamente cuore, anche geografico. Un’occasione unica e irripetibile per arrivare pronti all’inaugurazione di Go!2025, quando le due anime della città, Gorizia italiana e Nova Gorica slovena, saranno unitamente Capitale europea della Cultura. «Oggi, in un’Europa che conosce nuovamente la guerra e mette in discussione i grandi princìpi che la sognarono unita, il messaggio di Nova Gorica/Gorizia 2025 ha la potenza delle grandi rivoluzioni », spiega Nicolò Fornasir, vicepresidente di Icm, l’Istituto per gli Incontri culturali Mitteleuropei, nato in piena Guerra fredda dal fermento di una gioventù cattolica che voleva cambiare il mondo.

Nel verbale c’è tutta la portata storica di quell’atto: «Si incontrino le genti e il confine non sia una linea di divisione, come invece lo sentono Roma e Berlino», è la visione lungimirante dei due giovani politici. Prima che la storia imbocchi la strada da loro tracciata passeranno decenni, ma non è un caso se proprio a Gorizia germinò quell’embrione di Europa moderna. «Gorizia aveva raccolto da secoli l’eredità di Aquileia, fondata dai Romani per far colloquiare il mondo greco-latino con quello tedesco e quello slavo – spiega lo storico Fulvio Salimbeni, presidente di Icm –. Il risultato è che qui nelle famiglie la nonna è tedesca, il nonno sloveno, l’altro nonno ebreo, il padre friulano, la madre ungherese… Siamo un bel misiot », riassume in dialetto, motivo per cui dal ’500 nelle grandi corti d’Europa i diplomatici venivano tutti da Gorizia: se la famiglia è multietnica non puoi essere nazionalista, la mediazione è innata e ricomporre il conflitto è una propensione.

Lo spirito di Gorizia, insomma, non è la nostalgia retrò di atmosfere perdute, ma la scossa elettrica che può il cuore sopito di un’Europa stanca. Non a caso il presidente Mattarella negli ultimi mesi ha più volte indicato Nova Gorica/Gorizia 2025 come «la vetrina dell’autentico spirito europeo», augurandosi «che questo messaggio sia raccolto dalle zone di confine di tante parti del mondo». È tattica usata sotto tutti i regimi quella di affidare alla poesia i messaggi “pericolosi”, perché la censura non li riconosce.

E così fecero i giovani cattolici goriziani nel primo Incontro culturale mitteleuropeo del 1966, intitolato non a caso “La poesia oggi”, quando a Gorizia poterono confluire persino intellettuali da Jugoslavia, Ungheria, Cecoslovacchia. Per l’Italia c’erano Mario Luzi, Andrea Zanzotto, Fulvio Tomizza, Biagio Marin. E Giuseppe Ungaretti, che tornava 50 anni esatti dopo le battaglie combattute sull’Isonzo e le sue celebri poesie di trincea, dure e riarse come il Carso. Mezzo secolo dopo la famosa vittoria di Gorizia (costata 200mila vite), ripartì lasciando alla città un manoscritto memorabile e a tutt’oggi rivoluzionario: «Gorizia non era il nome di una vittoria, ma il nome di una comune sofferenza, la nostra e quella di chi ci stava di fronte e che dicevano nemico, ma che noi chiamavamo nel nostro cuore fratello» (sorta di preghiera laica che Icm traduce nelle 21 lingue dei popoli che vennero qui a morire nella Inutile strage).

«Il fascino di questa città è che qui come in nessun altro luogo hanno veramente convissuto fin dal medioevo nazionalità germaniche, latine e slave compenetrandosi in pace. Questo fa di Gorizia la città più originale d’Europa», afferma il germanista Hans Kitzmüller, che oggi apre il convegno presentando il suo volume Gorizia austriaca. Pagine ottocentesche, antologia di scrittori goriziani tedeschi, sloveni, italiani e friulani. «Dalle valli dell’Isonzo e del Vipacco fin giù nella grande pianura che scende all’Adriatico, le genti qui non ebbero mai confini, neppure dopo la conquista italiana della città nel 1916. Solo la Cortina di Ferro impose per la prima volta sul territorio goriziano una linea di divisione. Ma nel 2004, con l’ingresso della Slovenia in Europa e l’abbattimento del Muro, questo confine è diventato un ponte straordinario, e tra due anni con la Capitale europea unitaria si dissolverà del tutto».

Poi tutto crolla in poco tempo: «Una generazione prima si traducevano Dante e Mazzini in sloveno, nella generazione successiva il fascismo ammetteva solo l’italiano, persino il friulano era vietato. Ma l’unicità di Gorizia è rimasta scritta nel Dna di questa gente». Il problema è: come trasmetterla a Go!2025 e come coinvolgere i leader europei? «Bisogna incuriosire, far conoscere questa storia eccezionale, che è nata qui ma appartiene a tutti, senza voler dimostrare niente, solo per capire insieme cosa si può ricostruire a partire dal cuore di Gorizia. Ogni organismo ha un cuore solo che lo fa vivere, non è utopia, se è successo in passato potrà ancora avvenire». L’inaugurazione della Capitale europea 2025 avverrà l’8 febbraio, il giorno della morte del sommo poeta sloveno France Prešeren e della nascita di Giuseppe Ungaretti. Non ci sono più censure da aggirare, ma la poesia continua ad essere propellente per un’umanità che resiste a tutto.

Lucia Bellaspiga
Fonte: Avvenire – 23/11/2023